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sito della confederazione italiana di base CIB Unicobas, sindacato di base, libertario ed autogestionario

Alessandro Di Candia: Analisi delle Indicazioni Nazionali proposte dal Ministro Valditara.

L’UNICOBAS SULLE NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI(STE) 2025 DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL “MERITO”. BENVENUTI NELLA SCUOLA DEL SOVRANISMO.


Nel mese di marzo 2025, il Ministero dell’Istruzione e del “Merito” ha pubblicato il testo
delle Nuove Indicazioni per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione 2025,
col sottotitolo Materiali per il dibattito pubblico.
A seguire, è stata poi avviata la consultazione del gradimento delle Nuove Indicazioni,
tramite un questionario (che di fatto escludeva la possibilità di esprimere dissenso o
critica) la cui ultima scadenza è stata fissata al 17 aprile scorso.
Il compito di chiunque lavori nella scuola è stato subito assolto: sigle sindacali,
associazioni, singoli docenti più o meno in vista hanno detto la loro su un documento
che – con tutta evidenza – segna un pericoloso momento di regressione educativa.
Anche noi dell’Unicobas ci siamo interrogati sulla posizione da assumere di fronte a
questo tentativo di riaffermazione nella scuola di una visione dell’educazione fortemente
inquinata da un impianto paternalista, razzista, colonialista e nazionalista.
Prima di calarci in un’analisi più approfondita di questo documento irricevibile, è bene
fare una premessa generale che dovrebbe guidare la riflessione sul lungo periodo: la
scuola, come l’abbiamo conosciuta fino a questo momento, ha rappresentato un
sistema in controtendenza rispetto all’orientamento della storia: un luogo in cui si è
insegnata la pace e la cooperazione, lì dove invece le classi politiche e l’economia
promuovono il conflitto come mezzo di risoluzione delle controversie e la competizione
spietata come normale motore dello sviluppo; un luogo in cui le differenze vengono
valorizzate come fattore di arricchimento personale e sociale, contro visioni razziste che
vogliono mettere gli esseri umani gli uni contro gli altri, a vantaggio di una minoranza di
profittatori; un luogo dove si promuove il dialogo, contro un contesto generale in cui chi
è portatore di un punto di vista altro viene presentato come nemico a cui togliere il diritto
di espressione.
Bene: con le Nuove Indicazioni Nazionali, tutto questo rischia di diventare il passato.
Il documento partorito dal MIM, infatti, vuole asservire la scuola – vista come agenzia
educativa in contrasto con la visione ideologica dell’Internazionale Nera attualmente al
potere in gran parte dell’Occidente – all’ideologia sovranista ed eurocentrica, condita di
paternalismo, che è dominante nel panorama contemporaneo.
Per tutti questi motivi la parte migliore del mondo dell’educazione ha deciso di muoversi
in nome della difesa della scuola come presidio di libertà, indipendenza, spirito critico,
cooperazione e confronto.
Un testo lungo, illeggibile, apparentemente privo di una visione coerente

Le Nuove Indicazioni colpiscono immediatamente per un aspetto: la loro lunghezza. Si
tratta infatti di un corposo documento di ben 154 pagine, contro le 68 delle vecchie
Indicazioni del 2012.
Bene, se il documento è così lungo – si può pensare ingenuamente – sarà per la
ricchezza dei contenuti, la profondità con cui la realtà della scuola contemporanea è
affrontata, la tendenza a scendere nel dettaglio per affrontare anche il minimo problema
del mondo dell’educazione… E invece, è esattamente il contrario. Il documento risulta
sin da subito ridondante, inutilmente prolisso, lontano da ogni capacità di focalizzare in
modo chiaro e univoco i singoli problemi che si vogliono affrontare.
Un esempio di questa verbosità inutile lo troviamo a p. 27, lì dove si parla del campo di
esperienza “corpo e movimento” nella scuola dell’infanzia:
“L’odierna società non sempre è in grado di mette a disposizione dei più piccoli spazi e
tempi a loro misura, per sperimentare l’uso del proprio corpo e maturare una corretta
visione della propria corporeità, nel rispetto dei personali ritmi di sviluppo e di
apprendimento. Per queste ragioni, si rivela sempre più importante nella scuola
dell’infanzia promuovere le principali potenzialità espressive e comunicative del corpo
infantile, attraverso un linguaggio caratterizzato da proprie strutture e regole, da
apprendere in contesti di esperienza concreta, libera o guidata. Si tratta di impiegare,
nello svolgimento di attività educative e ricreative, una pluralità di linguaggi (corporeo,
psico-motorio, coreutico, sensoriale, ecc.), alternando parole e gesti, producendo
musica con l’impiego di componenti del proprio corpo, accompagnando narrazioni e
filastrocche con movimenti ritmici.
Una vita sempre più sedentaria e l’uso spesso incontrollato, fin dalla tenera età, di
dispositivi digitali rappresentano un ostacolo a imparare a conoscere e ad esplorare il
proprio ambiente di vita attraverso una molteplicità di esperienze, in grado di contribuire
allo sviluppo di una maggiore consapevolezza dei fattori volti a garantire il benessere
psicofisico e la costruzione di una reale immagine di sé e del proprio corpo.” (Indicazioni
Nazionali, p. 27)
A parte l’approssimazione lessicale (“odierna” ha un significato diverso e più limitato
rispetto a “contemporanea”, che sarebbe stato sicuramente più appropriato) e i refusi
che non sono accettabili in un documento ufficiale (“mette” al posto di “mettere”), il testo
colpisce per le strutture sintattiche confuse e un lessico generico. L’impressione che ne
ricava un docente di italiano, è la stessa di quando, correggendo un tema, si accorge
che lo studente ha riempito di contenuti inutili il proprio lavoro per non apparire troppo
sbrigativo.
E si tratta solo di un esempio. Si guardi anche a p. 36 quale discorso prolisso viene
fatto in merito all’insegnamento della grammatica e della letteratura.

Il sospetto è che questa ridondanza e questa sciatteria non siano solo l’effetto di una
scarsa competenza nell’italiano scritto o della mancanza (a pensar bene) di una
revisione finale, ma siano funzionali a generare un testo intenzionalmente confuso al
fine di far passare in secondo piano il progetto di una scuola autoritaria e disciplinante.
Ma sarebbe anche troppo rassicurante se i problemi fossero soltanto la prolissità e la
sciatta disorganizzazione strutturale del testo.
Le “passioni tristi” delle Nuove Indicazioni: paternalismo, sfiducia, paura
Le Nuove Indicazioni sono qualcosa di più e di peggio di un documento di
aggiornamento del curricolo: sono un vero e proprio manifesto ideologico, improntato a
una specifica (per quanto confusa nella forma) visione del mondo. Non si va lontano dal
vero se si afferma che questo documento risponde in modo perfetto al clima di
intorpidimento (guidato e orientato) della partecipazione democratica, di avanzamento
di pulsioni autoritarie, di sfiducia nella democrazia, di riaffermazione potente e tragica
della legge del più forte in luogo della forza del diritto, della ragione delle armi in luogo
del dialogo e del confronto, dell’esclusione dell’altro visto come pericolo anziché come
risorsa di crescita comune.
Il contesto internazionale vede il ritorno di pulsioni barbare e violente, veri e propri
attacchi alle conquiste della civiltà, ripropone l’esclusione di specifici gruppi (migranti,
minoranze, identità non binarie, in parte anche donne) dagli spazi di agibilità pubblica e
dal campo dei diritti. In nome del contrasto a presunte ideologie – che in realtà
configurano semmai conquiste di civiltà, come l’attenzione alle diverse identità, il ruolo
delle donne nella società, l’acquisizione della non binarietà nelle questioni di genere – si
sono riaffermate visioni del mondo improntate all’esclusione e alla colpevolizzazione
della marginalità e della diversità. Il governo Meloni si trova a proprio agio nel
condividere l’agenda ideologica delle classi dirigenti e politiche che guidano le sorti del
mondo, in questo momento storico. E le Nuove Indicazioni sembrano rispondere
all’esigenza di educare le giovani generazioni a quel sistema di valori escludente e
marginalizzante. Del resto, le dittature (nere o che siano) sanno bene che il cittadino
fedele e non-pensante è il risultato di un percorso che nasce sui banchi della scuola. E
il DNA della destra al governo è quello mussoliniano dell’inquadramento dei giovani nei
balilla, nei figli della lupa, negli avanguardisti, ecc. ecc.
Non è un caso se, come nota Dario Ianes, esistono preoccupanti somiglianze tra parti
delle Nuove Indicazioni e il programma sull’istruzione del partito dell’estrema destra
tedesca AfD.
Il documento di cui stiamo parlando è intriso di “passioni tristi” (è sempre Ianes a
sottolinearlo): paura, sfiducia, una prudenza che rattrappisce lo sguardo lontano e
desideroso del futuro mentre restringe il respiro e affanna sulla difensiva il pensiero. E
la passione triste – la storia ce lo insegna – è il preludio all’affermazione di meccanismi
di controllo autoritari.

Tutto il documento – ma soprattutto, come vedremo, la parte dedicata all’insegnamento
della storia – trasuda sfiducia nei confronti degli insegnanti, a cui vengono
esplicitamente proposti autori ed esempi, e nei confronti degli alunni, che vengono
ritenuti incapaci di analizzare una fonte storica in modo critico (forse perché gli
insegnanti non vengono considerati capaci di educarli in merito?).
Paternalismo, sfiducia, timore nei confronti degli alunni e della loro libertà: le Nuove
Indicazioni esprimono una concezione autoritaria di educazione in cui studenti e
insegnanti devono tornare ad essere obbedienti. La prospettiva del lavoro educativo
viene sì mantenuta, ma come operazione di facciata per nascondere una concezione di
istruzione limitata alla trasmissione di conoscenze funzionali a precise visioni
ideologiche.
La premessa delle vecchie Indicazioni Nazionali del 2012 aveva come titolo “Cultura
Scuola Persona”, e rifletteva una visione dell’educazione come momento di crescita
personale e sociale, come strumento di confronto con le diverse identità culturali e
linguistiche che oggi formano il tessuto sociale italiano.
Le Nuove Indicazioni, in piena adesione al clima reazionario imperante, ha come
premessa “Scuola Persona Famiglia”. La stessa visione dell’identità personale è vista
non in relazione armonica con le altre identità (che poi, cosa significa la parola
“indentità”, in un contesto complesso come quello contemporaneo?), ma in opposizione
a esse.
“Non si può avere consapevolezza di sé al di fuori della differenza con gli altri io e con il
mondo. Ogni identità si oppone necessariamente ad una alterità ma l’incontro fra un io
e un tu è un bisogno strutturale. E il privilegio della nostra civiltà è nel confronto. L’altro,
infatti, non limita la persona ma è costitutivo del suo svilupparsi e completarsi. Le
comunità, la società, i gruppi, le collettività non sostituiscono mai la persona, ma hanno
il compito di preparare le condizioni del suo divenire e completarsi, ‘suscitandola. La
persona è, oltre che identità e relazione, anche partecipazione: ossia apertura
intenzionale su tutta la realtà, una realtà non scelta, ma all’interno della quale è
possibile costruire il proprio progetto di umanità. Di qui la fondamentale azione della
scuola nel promuovere l’identità personale, culturale, relazionale e partecipativa della
persona umana” (Nuove Indicazioni, p. 8)
Identità in conflitto tra loro, primato della persona rispetto alla relazione con l’altro,
individualismo, debolezza della prospettiva sociale. Siamo di fronte all’etica dell’homo
homini lupus, ma con un linguaggio paternalisticamente accettabile.
Ci sarebbe anche da discutere su quella frase “il privilegio della nostra civiltà è nel
confronto”, sbagliata dal punto di vista formale (semmai “il privilegio della nostra civiltà e
IL confronto”, altrimenti non si capisce di quale privilegio si parli), ma soprattutto
sostanziale: della civiltà occidentale si può dire tutto e i contrario di tutto, e la storia dell’Occidente è costellata di momenti in cui il confronto tra lo Stato e parti delle proprie
comunità si è tradotto in tentativi di sterminio. Bisogna sempre andarci piano quando si
cerca di stilare rigidi elenchi di valori. Il compianto antropologo anarchico David
Graeber, nella sua Critica della democrazia occidentale, scriveva, per mettere in
guardia da tali elenchi: “Si potrebbe per esempio sostenere che la cultura occidentale si
fonda su scienza, industrializzazione, razionalità burocratica, nazionalismo, teorie
razziali e irrefrenabili spinte espansionistiche, per poi affermare che il culmine della
cultura occidentale è stato il Terzo Reich”.
Tornando alle Nuove Indicazioni, la rivendicazione della superiorità della cultura
occidentale nasconde ben più di un’insidia. E comunque può star bene nel programma
di un partito nazionalista e sovranista, non certo nel documento programmatico della
scuola di un paese multiculturale. Perché – diciamocelo – quell’affermazione sul
privilegio occidentale del confronto implica una discriminazione nei confronti di cittadini
provenienti da altre culture (per provenienza geografica o per tradizione familiare, poco
importa).


LA SCUOLA DELL’AUTORITARISMO DISSIMULATO
Un altro aspetto che colpisce è la definizione di maestro come colui che è magis, di più,
e che fa da volano agli apprendimenti dell’alunno. Un’affermazione apparentemente
innocua e anche – volendo – lusinghiera. Ma è proprio così? O piuttosto non nasconde,
anch’essa, una qualche forma di aderenza all’impianto autoritario generale del
documento? Perché sarà anche vero che l’incontro con docenti carismatici facilita gli
apprendimenti e lo sviluppo della personalità di alunni e alunne, ma è mettere nero su
bianco quella che non è altro che una variabile casuale 1) indebolisce il ruolo della
scuola intesa come capace di organizzazione efficace di spazi, tempi e azioni e 2)
enfatizza il ruolo del singolo, introducendo anche sulla carta la figura dell’uomo forte al
comando (magari al comando della singola classe, ma sempre al comando). Forse – a
voler pensar bene – si tratta di una risposta ai numerosi fatti di cronaca che vedono i
docenti vittime di prepotenze di alunni e famiglie, ma l’autorevolezza dell’insegnante
come espressione di un ruolo dipende da ben altri fattori che non dal carisma
personale. Dipende innanzitutto da una scuola che funziona bene ed è dotata di
strumenti e risorse adeguati. La capacità personale del singolo di affascinare e
trascinare è semmai un valore aggiunto.
La storia: una visione ottocentesca per la scuola sovranista
La parte relativa all’insegnamento della storia nella scuola secondaria di primo grado è
forse quella in cui la visione nazionalista e paternalista delle Nuove Indicazioni emerge
in modo più macroscopico.

Intanto, la sezione (curata da Ernesto Galli della Loggia, noto per le geremiadi contro la
scuola democratica e inclusiva, infarcite di terminologia che rivela quanto poco ne
sappia dell’argomento) si apre con una frase che è tutto un programma: “Solo
l’Occidente conosce la Storia”. A questa frase segue una citazione di Marc Bloch
completamente decontestualizzata. Poi qualche riferimento all’inadeguatezza delle altre
civiltà che hanno avuto “qualcosa che assomiglia alla storia”, ma niente di più.
La storia come patrimonio esclusivo dell’Occidente introduce una visione eurocentrica,
razzista e imperialista che vede la cultura occidentale come “intellettualmente padrona
del mondo” (citazione testuale dalle Nuove Indicazioni), declassando altre culture e
civiltà al ruolo di entità a sovranità culturale limitata.
Dentro il quadro della visione intrisa di paura e sfiducia, di quelle “passioni tristi” di cui si
diceva prima, ecco che la storia viene caricata di significati mistici nel frequente
richiamo religioso e in un’idea del divenire storico come arena dello scontro tra bene e
male (proprio così!).
Anche qui, chi ha steso la premessa della sezione sulla storia ha messo dentro un po’
tutto e il contrario di tutto, da Gentile a Gramsci, ha fatto riferimenti a filosofi e storici
senza nominarli, in quello che sembra più uno sforzo di esibizione erudita (e fatta anche
male) più che un serio discorso sul senso della storia nella scuola.
Sempre per non uscire dall’ambito occidentale, la storia nella scuola secondaria di
primo grado diventa di corto respiro, le Nuove Indicazioni richiamano la necessità di uno
studio prevalente della storia europea e statunitense, dichiarando sostanzialmente
fallimentare il tentativo di uno sguardo globale, in quanto “Pur essendo sempre più
venute alla nostra attenzione le vicende dell’intero pianeta, resta il fatto che le finalità
indicate sopra possono essere raggiunte solo rinunciando preliminarmente
all’ambizione enciclopedica di parlare della storia universale, che vorrebbe dire
necessariamente occuparsi un poco, o pochissimo, di ogni cosa”. Una visione
apparentemente rinunciataria, che maschera in realtà un’idea di cultura globale come
foriere di pericolose aperture mentali. Si tratta di una visione neocoloniale che ignora
deliberatamente narrazioni più ampie.
La storia senza fonti (ma con qualche storiella edificante)
Le Nuove Indicazioni escludono esplicitamente l’analisi delle fonti dallo studio della
storia, senza nemmeno fare più o meno dignitosi giri di parole. Al posto delle fonti,
meglio occuparsi di racconti edificanti ed esemplari, scelti non si sa bene in base a
cosa.
Ecco le parole delle Indicazioni:
“Anziché mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!)
capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce

delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa. E
cioè un insegnamento/apprendimento della storia che metta al centro la sua dimensione
narrativa in quanto racconto delle vicende umane nel tempo. La dimensione narrativa
della storia è di per sé affascinante e tale deve restare nell’insegnamento, svincolato da
qualsiasi nozionismo così come da un inutile ricorso a “grandi temi”, disancorati
dall’effettiva conoscenza degli eventi.” (Nuove Indicazioni Nazionali, p. 70)
Emerge in tutta la sua evidenza l’idea di della didattica della storia fondata solo
sull’evocazione emotiva di determinati momenti della storia nazionali, con l’obiettivo
dichiarato di formare studenti con una marcata identità nazionale, privi di capacità di
analisi sul passato (per cui lo studio delle fonti sarebbe imprescindibile) e formati
attraverso giudizi morali trasmessi dall’alto. La storia viene così presentata come una
“narrazione” anziché che come un campo di indagine critica, utile principalmente per la
costruzione dell’identità nazionale (sì, ma quale?). Si impedisce ad alunni e alunne di
qualunque età lo sviluppo di un metodo d’indagine critico (adeguato ovviamente alle
diverse esigenze), perché dove c’è critica c’è autonomia di pensiero e libertà di scelta.
Inoltre, a margine, questa idea di ritenere gli studenti inadeguati all’analisi critica delle
fonti (come, in generale, ad azioni e riflessioni complesse), riflette ancora quella visione
paternalistica in cui la scuola è vista non come luogo di formazione della coscienza
civile, ma come tutrice di soggetti solo parzialmente capaci di scelte consapevoli. Se
questa è la visione che hanno i soggetti incaricati di redigere il documento progettuale a
fondamento dell’azione didattica, non stupiamoci se la scuola non è poi un luogo
avvertito come polarizzante e desiderabile da parte dei giovani.
A leggere con attenzione le indicazioni in merito all’insegnamento della storia, sembra
di essere tornati a una didattica ottocentesca basata su un’agiografia patriottarda, come
fu quella (ma era un altro contesto) del deamicisiano Cuore. E c’è da chiedersi quanto
simili strategie siano realmente in grado di avvicinare i giovani a questi presunti valori.
Tanti contenuti, ma sbagliati
L’altro aspetto su cui è bene soffermarsi, è quello relativo ai contenuti. Se fino a questo
momento, orientativamente, il primo anno di secondaria di primo grado si apriva con la
crisi del III secolo per chiudersi con l’età delle Signorie (circa 1000 anni), il secondo
anno iniziava con le scoperte geografiche e finiva con l’unità italiana (circa 500 anni) e il
terzo abbracciava il Novecento (100 anni) seguendo un percorso in cui i processi storici
vengono affrontati in base alla loro crescente complessità e in base alla scansione età
medioevale – età moderna – età contemporanea, le Nuove Indicazioni prescrivono di
partire dall’età carolingia per finire con la rivoluzione industriale in prima, con tutto ciò
che significa affrontare adeguatamente età così diverse e dense di eventi e
cambiamenti.

Altra contraddizione evidente: nella sezione di storia vengono esplicitamente elencati,
sotto forma di punti elenco, i contenuti previsti, in modo tanto dettagliato quanto invece
sono vaghi, generici ed espressi con un verboso stile discorsivo i contenuti relativi a
italiano e geografia. Sorge quindi la domanda: ma non hanno avuto il tempo di fare una
revisione finale e di uniformare un po’ il testo?

Italiano lingua morta

Lo studio dell’italiano, pilastro della nostra cultura, è visto in modo puramente
normativo, quasi fosse una lingua morta, un insieme di regole da imparare a memoria,
senza alcuna attenzione alla lingua come strumento vivo di comunicazione, di
espressione personale e di interazione sociale.
Nella sezione dedicata alla Letteratura, il focus è esclusivo su una serie di competenze
tecnico-esecutive: si impara a “riconoscere”, a “individuare”, a “classificare”. Ma non si
fa mai cenno allo studio della letteratura come strumento di ricerca personale, di
approfondimento del sé, di comprensione delle complessità umane. La letteratura viene
ridotta a un mero esercizio formale, svuotato di ogni significato profondo.
Assistiamo poi a un vero e proprio “Paradosso delle Fonti”: mentre in storia si nega
l’accesso all’analisi critica delle fonti, in italiano si afferma che lo studente “Imparerà la
differenza tra la citazione delle opinioni e dei documenti altrui e l’uso subdolo, non
dichiarato, delle fonti”. Questa palese contraddizione è un indice molto significativo
dell’approssimazione e della mancanza di coerenza interna con cui le Nuove Indicazioni
sono state scritte.
Un’altra “Grammatica Schizofrenica” emerge dalla sezione relativa alla grammatica: da
una parte si ripropone una visione normativa ormai superata, dall’altra, nella sezione
relativa alla scrittura, si fa riferimento alla necessità di evitare “l’ossessione normativa”,
calando la lingua nel contesto reale (“Sarà avviato lo studio della lingua attraverso la
riflessione condotta con la grammatica, senza trasformarla in un’ossessione per la
norma, calandola nella concretezza e realtà dei testi…”). Altro segnale evidente di
sciatteria e di un lavoro non organico.
La letteratura è trattata in modo generico e approssimativo. Da una parte si tenta di
stabilire un canone arbitrario e insensato, i cosiddetti “classici moderni” come Pinocchio
o Verne, la cui funzione e attualità didattica sono oggi tutte da dimostrare. Dall’altra, si
lascia all’arbitrio del gusto lo studio del romanzo cavalleresco (“ma anche, se piacciono,
i romanzi cavallereschi medievali e rinascimentali, dal ciclo di re Artù al Furioso di

Ariosto”). La scuola non può affidarsi al “se piacciono”: ha il dovere di orientare, di
proporre percorsi strutturati e significativi, non un mercatino del “mi piace/non mi piace”.
Il latino alla secondaria di primo grado. Bene, ma…
Da un punto di vista mediatico, è forse la carta vincente di queste nuove Indicazioni:
finalmente il latino torna alla scuola media. Bene, siamo i primi a essere d’accordo. E
siamo d’accordo anche con le motivazioni: il latino viene reintrodotto per il suo valore
formativo e linguistico, perché è un utile strumento di appropriazione sicura delle regole
dell’italiano, e perché introduce all’interesse per la cultura “alta” da cui molti alunni
rischiano di restare esclusi a priori. Ma allora, che senso ha introdurla come disciplina
facoltativa e dal secondo anno di scuola media in poi? In alcuni istituti, l’ora di
approfondimento è con profitto dedicata sin dal primo anno allo studio del latino, in
orario curricolare. Se il latino, è così importante, perché renderlo opzionale? Questo lo
rende una scelta di facciata, un contentino ideologico che non si traduce in un
investimento reale e strutturale.


L’inclusione dimezzata
Il capitolo dedicato all’inclusione scolastica nelle “Nuove Indicazioni 2025” ha ricevuto
severe critiche per il suo linguaggio e la sua superficialità. Marisa Faloppa, del Comitato
per l’integrazione scolastica, ha evidenziato la riapparizione del termine “portatori di una
qualche forma di disabilità”, che contraddice direttamente i recenti decreti legislativi
sulla terminologia della disabilità. Al di là delle questioni linguistiche, i riferimenti a
sistemi inclusivi, approcci pedagogici e didattiche per l’inclusione sono notevolmente
brevi e superficiali. L’approccio complessivo all’inclusione è fortemente caratterizzato da
una visione regressiva, perfettamente coerente con il senso di nostalgia per un tempo
che fu che innerva tutto il testo. Sebbene il documento menzioni l’uso di nuove
tecnologie per l’adattamento, la realtà aumentata e virtuale e le tecnologie assistive
basate sull’IA, questi riferimenti sono insufficienti o mal diretti, soprattutto se confrontati
con le più ampie riserve sulla filosofia regressiva del documento.
Scuola e nuove tecnologie: un’occasione persa
Ogni blocco disciplinare si chiude con un paragrafo intitolato Ibridazioni tecnologiche.
Lo stesso termine ibridazione ci fa capire con chiarezza che la ratio non sta nella
visione tecnologia come infrastruttura in grado di aprire nuove prospettive
nell’apprendimento, ma come semplice strumento a supporto della didattica
tradizionale. Le nuove tecnologie sono vista come uno strumento ancillare per riproporre
vecchi schemi. Si perde completamente l’opportunità di concepire la tecnologia come un motore
per creare nuovi scenari di apprendimento, per sviluppare competenze digitali critiche e per
riflettere sull’impatto e le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale. Una visione retrograda che

relega la scuola a un ruolo passivo di fronte al cambiamento in atto. La tendenza al
provincialismo e alla conservazione emerge in modo chiaro anche in questo ambito. Eppure, gli
scenari che si vanno aprendo sono imprevedibili e incideranno in modo diretto sulla vita
concreta e reale delle nuove generazioni, che saranno probabilmente impreparate a gestire
questi cambiamenti in modo efficace.

In conclusione
Le Nuove Indicazioni sono la perfetta espressione della visione chiusa, provinciale, nazionalista,
sovranista, impaurita dalle differenze e dai cambiamenti, della nostra classe di governo.
Figlie dell’iniziativa di un ministro che non ha fatto mistero della sua predilezione per
l’umiliazione come strumento pedagogico, che fa parte di un governo che, dal decreto Caivano
al Decreto sicurezza, non vede il vantaggio dell’educazione nella prevenzione della cause, ma
elabora strategie di repressione degli effetti, le Nuove Indicazioni sono il tassello che completa il
quadro di un’azione politica generale. Sono perfettamente coerenti con l’idea che la scuola deve
displinare, non educare alla libertà, deve imporre contenuti, non guidare alla consapevolezza,
deve affascinare con racconti edificanti, non educare allo spirito critico attraverso l’analisi.
Le Nuove Indicazioni Nazionali 2025 sono, nella loro forma attuale, un documento inaccettabile.
Rappresentano un tentativo – l’ennesimo – di smantellamento della scuola pubblica, democratica
e progressista, a favore di un modello obsoleto, autoritario e ideologizzato. Non è da oggi che la
scuola democratica è sotto attacco: scrittori, sociologi, commentatori pubblici, non perdono
occasione di attaccare la scuola che – faticosamente, dati i mezzi a disposizione – tenta in ogni
modo di accompagnare i giovani nella loro crescita.
Per questo, chiediamo con forza il ritiro di queste Indicazioni o, in alternativa, una revisione
radicale che sia costruita dal basso, con il contributo autentico di chi la scuola la vive ogni
giorno: docenti, personale ATA, studenti e famiglie.
Noi vogliamo una scuola che sia:
● Democratica e inclusiva, capace di valorizzare le differenze e di promuovere la
partecipazione.
● Basata sull’analisi critica e sullo sviluppo del pensiero autonomo, dove gli studenti
imparino a “leggere” il mondo e non solo a memorizzarlo.
● Che valorizzi gli insegnanti come professionisti competenti e dia piena fiducia agli
studenti come soggetti attivi del loro apprendimento.
● Che guardi al futuro, non al passato, integrando la tecnologia non come mero ausilio,
ma come strumento per creare nuovi scenari di apprendimento e per sviluppare un
approccio critico alla complessità digitale.
● Aperta al mondo e alle sue molteplici culture, non chiusa in un nazionalismo sterile e
autoreferenziale.
Invitiamo tutto il personale della scuola, i genitori, gli studenti e l’intera cittadinanza a mobilitarsi
contro questo tentativo di riportare indietro le lancette dell’orologio della nostra istruzione. Le

Nuove Indicazioni entreranno in vigore nell’anno scolastico 2026-27: il tempo per organizzarsi e
lottare, c’è.
La scuola è di tutti e merita un futuro migliore!

p. l’Unicobas
Alessandro Di Candia
(Membro dell’Esecutivo Nazionale Unicobas Scuola & Università)