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SE LA DEMOCRAZIA PASSA DI MODA. LA SCUOLA E IL SUO TOMB ACT

I MILIARDARI LA SOGNANO COSÌ: PRIVATIZZATA E SCHIAVA
di Alvaro Belardinelli

Bisogna dirlo: Matteo Renzi si sta guadagnando la pagnotta. Quella che gli è stata evidentemente promessa dalle stanze del Potere (Confindustria, banche, Vaticano, troika, poteri occulti vari) per farci digerire il boccone avvelenato del disegno di legge (DDL n. 2994 Giannini-Madia-Padoan del 27 marzo 2015) che demolirà la Scuola istituita dalla Costituzione antifascista.
Piazza video su Youtube, l’ex boyscout. Scrive e-mail a tutti i Docenti. “Assumiamo oltre centomila precari”, ostenta per imbonirsi l’uditorio. “La più grande assunzione mai fatta da un Governo della Repubblica”. La realtà è ben diversa, e lui lo sa bene. Non solo perché gli assunti saranno forse poco più della metà. Tralascia di dire, infatti, che solitamente già ogni anno vengono arruolati 15.000 Docenti (il minimo possibile per tenere aperte le scuole); e che questo avviene perché negli ultimi dieci anni ben 350.000 Docenti sono andati in pensione! Inoltre finge di dimenticare che la ex Ministra Gelmini tagliò 150.000 cattedre (distruggendo Licei e Istituti tecnici, e trasformando le aule in afosi gallinai). Quindi trascura che esistono almeno 200.000 cattedre libere. Perciò assumere solo 100.000 insegnanti (ammesso che il numero sia reale) significa assumere la metà di quelli necessari. Fra l’altro, “demolition man” (come l’ha definito Financial Times) nasconde che nel frattempo gli studenti sono aumentati di 200.000 unità. Dunque non dice che la Scuola in realtà potrebbe dare altri 250.000 posti di lavoro ai Docenti, perché tanti ne sono necessari per garantire il diritto allo studio.
“Si rafforzano responsabilità (e conseguenti valutazioni) del dirigente scolastico che non è certo uno sceriffo ma un primus inter pares dentro la comunità educativa”: sono le parole di Renzi nella sua e-mail agli insegnanti. Ha un bel coraggio, verrebbe da dire, fornito com’è della capacità di mentire in modo seriale guardando negli occhi l’interlocutore. Primus inter pares il Preside non lo è dall’anno scolastico 2000/01, quando diventò Dirigente Scolastico in seguito all’art. 21 della legge 15/3/1997, n. 59 (quella sulla “autonomia scolastica” introdotta da Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica Istruzione del Governo Prodi I, L’UlivoPDS-PPI-UD-FdV-RI-SI). Quell’articolo di legge fece del Preside una controparte degli insegnanti; anzi, il loro “datore di lavoro”. Il DDL 2994 di Renzi semplicemente ne fa un dominus (altro che “primo fra pari”!): un dispotico padrone d’azienda che può disporre dei propri Docenti come vuole, assumendoli e licenziandoli a prescindere da elementi di valutazione oggettivi come graduatorie, punteggi, titoli di studio, diritti acquisiti. Questo prevedono (nero su bianco, in perfetto burocratese) l’art. 2 comma 1 e l’art. 7 del DDL. Ogni Docente vivrà nel terrore di finire in soprannumero. Infatti, qualora la scuola in cui insegna dovesse subire una contrazione d’organico, a perder posto non sarà l’insegnante con minor punteggio in graduatoria, ma quello sgradito al Dirigente. Quindi, potenzialmente, quello bravo ma critico (e non ubbidiente), o quello iscritto al Sindacato malvisto, o quello che non insegna i contenuti che il Dirigente desidera. Oppure, se donna, quella che non accetta le “attenzioni particolari” del Dirigente medesimo: esattamente come avveniva durante il Ventennio mussoliniano, quando i poteri del Preside erano analoghi!
Un taglio netto con l’articolo 33 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Tanto più che l’art. 7 comma 1 del DDL prevede un Dirigente gerarchicamente sovraordinato ai Docenti persino in materia didattica. Un Dirigente comunque schiavo a sua volta degli sponsor privati, che dovrà cercare nel territorio, e dei quali saranno schiave tutte le scuole.

Più schiavi di tutti, comunque, saranno i Docenti. Si pensi che, se un Docente non troverà posto in una Scuola e verrà chiamato in un’altra (magari lontana seicento chilometri da casa propria), dovrà accettarla per forza. Pena il licenziamento (come già stabilito dalla legge 29 del 1993 a proposito dei trasferimenti d’ufficio). Significa forse questo il termine “razionalizzazione”, più volte usato nel DDL Renzi?
No. Significa bastone e carota: come in tutti i regimi autoritari, di destra e di “sinistra”. Con danno enorme per il progresso di questo Paese, perché libertà d’insegnamento significa possibilità di ricerca autonoma, senza i limiti imposti da un’amministrazione governativa cieca e sorda, sensibile solo ai dettami di Confindustria, banche e Vaticano.
Ma a Lorsignori del Partito “Democratico” questi dettagli non interessano. Tanto meno a Luigi Berlinguer, entusiasta fautore di questa rovina, il quale, in un’intervista pubblicata su La Stampa il 19 maggio, definisce “marginali” questioni come “autorità” e “democrazia” nella Scuola. Aprendo gli occhi ai cittadini democratici che hanno sempre creduto in questo Partito e nei suoi predecessori dal nome differente.

C’è di più. Con questo DDL il Governo esautora il Parlamento in materia d’istruzione. A ciò mirano le 13 deleghe in bianco, su 13 differenti ambiti. Anche in questo, Renzi ha preso lezioni da “sua Emittenza” l’ex cavaliere, il quale nel 2008 usò la stessa tattica per impedire che il dibattito parlamentare bloccasse la spoliazione di otto miliardi di euro dalla Scuola pubblica. Oggi deleghe così numerose e vaghe permettono a Renzi e ai suoi consentanei di distrugger la Scuola con agio, ricostruendola poi con tutta calma a immagine e somiglianza dei miliardari che siedono nelle stanze del Potere (quello vero) italiano ed europeo: una Scuola non più Statale, se non nelle asserzioni mendaci dei Ministri.

Ultimo inghippo: cosa resta delle promesse con cui il “premier” prese i voti degli insegnanti sfoggiando futuri aumenti di stipendio? Un “voucher” di € 500 all’anno per acquistare materiali connessi all’aggiornamento e alla formazione degli insegnanti! Costerà allo Stato più di 380 milioni annui: il valore d’uno scatto d’anzianità. Non sarebbe meglio, allora, aumentar lo stipendio ai Docenti italiani (che restano i peggio pagati del mondo occidentale e i laureati meno pagati d’Italia), riconoscendo loro deduzioni fiscali per spese professionali e d’aggiornamento? Certo, la “Carta elettronica” fornita a maestri e prof fa più moderno, e magari farà guadagnare qualche banca. Inoltre fa capire che il Governo non si fida degli infidi Docenti: quasi essi fossero minorenni, capaci solo di sperperar soldi in lussi e gioco d’azzardo! E come se le indagini su corruzione, scialacquamento di denaro pubblico e rapporti con le mafie riguardassero i Docenti, anziché la classe politica che sui Docenti legifera!

Dure e inequivocabili le parole del magistrato Ferdinando Imposimato: «Preoccupa e indigna l’attacco del Governo agli insegnanti. Il presidente Matteo Renzi, dopo avere promesso, il 12 marzo 2015, l’assunzione di 150.000 precari, presenta un disegno di legge che lascia ai docenti di ruolo lo stipendio immorale di 1.800 euro al mese dopo 30 anni, e minaccia di licenziare circa 100.000 precari, retribuiti con stipendi indecorosi. Non percependo la diseguaglianza dovuta agli enormi e ingiusti stipendi attribuiti a caste privilegiate, tra cui i dirigenti di enti pubblici, spesso coinvolte in gravi episodi di corruzione, degli enormi sprechi nelle grandi opere spesso inutili come TAV, Expo e Mose, segnalati dall’UE nel rapporto del 3 febbraio 2014, di denaro pubblico che si verifica, e della corruzione impunita che costituisce una tassa immorale di 70 miliardi di euro ogni anno (Corte Conti). E ignorando che la scuola è (Calamandrei) “un organo costituzionale come Parlamento, Governo e magistratura anzi ancora più importante, poiché l’insegnante ha un compito ancora più difficile, istruire e formare i giovani.». «La riforma del Governo» continua Imposimato, «va contro l’interesse del Paese a una vita scolastica più adeguata alla realtà dei tempi, più vicina ai cittadini, più in grado di preparare i giovani ad affrontare i problemi di una società in profonda crisi a causa delle diseguaglianze tra una piccola classe di privilegiati, che godono di retribuzioni enormi, e una grande massa di cittadini, tra cui i Docenti, che vivono in uno stato di bisogno. Ma la libertà senza eguaglianza non esiste, è una falsa libertà. Il docente che non ha un lavoro stabile e una retribuzione dignitosa, non ha la serenità necessaria per educare i nostri amati giovani alla vita e alla lotta per i diritti civili e politici. È persona in apparenza libera, ma di fatto schiava, è una non persona. E noi cittadini abbiamo il dovere di ribellarci a tutto questo. Questa riforma infrange principi fondamentali della Costituzione, (…) l’articolo 36, secondo cui i docenti hanno diritto a una retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro svolto e tale da garantire una vita libera e dignitosa. Ma anche l’articolo 4, secondo cui lo Stato deve rendere effettivo il diritto al lavoro, e l’articolo 33 sulla libertà di insegnamento.»
Persino Stefano Rodotà, accademico, giurista e politico arcinoto per le sue battaglie in difesa dei diritti fondamentali, prende posizione sul DDL. Durante la trasmissione Di martedì (su La7) il 12 maggio 2015 ha dichiarato: «C’è una questione riguardante il finanziamento, che ci sia un contributo anche dai privati: ma questo si farà nelle scuole dove i ragazzi sono figli di benestanti, perché nelle scuole disagiate nessuno vorrà investire». «Finanziamento alle scuole private: la Costituzione dice che la Repubblica deve istituire scuole di ogni ordine e grado, deve in primo luogo consentire che la scuola pubblica funzioni al meglio. Solo quando questa condizione sarà soddisfatta, si potrà dare un euro ai privati.»

Riusciranno Docenti, studenti, genitori, cittadini democratici ad impedire lo scempio della Costituzione e della Scuola? No, se la propaganda riuscirà a servire per bene i suoi padroni: quegli straricchi che vogliono risparmiare sulla Scuola statale, perché non serve ai loro progetti di dominio, e perché non vogliono pagar tasse per finanziarla. Meglio dar soldi alle private, secondo costoro, impegnati come sono a lesinare sulle tasse per comprarsi la cinquantatreesima Ferrari e la ventisettesima villa.
Se però, nonostante il bombardamento mediatico delle menti, gli Italiani sapranno mantenere un barlume di pensiero autonomo e di libera coscienza, l’esito finale potrebbe esser molto sgradito a Renzi, ai suoi servitori e ai suoi mandanti. La lotta per la democrazia è appena iniziata. Non è mai troppo tardi per abolire una legge fascista e mandare a casa i suoi ideatori.

Roma, 19 maggio 2015
di Alvaro Belardinelli