Cib Unicobas

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UNICOBAS: 1) APPELLO. DISERTA LE URNE DOVE NON C’E’ UNA LISTA RSU DI BASE. 2) IL 23 MARZO SCIOPERANO LE MAESTRE ABILITATE. 3) DATI SCIOPERO 23 FEBBRAIO

Sarà il caso di far conoscere i dati dello sciopero del 23 Febbraio scorso. Per una categoria che in genere fa registrare livelli basi di adesione, possiamo dire invece che – sebbene a macchia di leopardo – la protesta contro il rinnovo contrattuale beffa, sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil, è stata incisiva. Secondo lo stesso Ministero, a Cagliari s’è registrato il 9.67% di adesione, 8.37 a Livorno, 8.25 a Pisa, 8.06 a Bologna, il 7.68 a Sassari, il 6.89 a Trieste, il 6.06 a Nuoro, il 5.69 a Venezia, il 5.57 a Pistoia, il 5.35 a Firenze e Prato, il 5.23 a Genova, il 5.01 a Oristano, il 4.99 a Lucca, il 4.98 a Ravenna, il 4.63 a Reggio Emilia, il 4.54 a Roma, il 4.33 a Gorizia, il 4.24 a Siena, il 4.16 a Torino e Grosseto, il 4.11 a La Spezia. 

Tuttequeste province vanno ben oltre il 2.48% nazionale (mentre ricordo che la FLC-CGIL, esattamente un anno fa, registrò solo un uno e mezzo di adesione sul suo sciopero dell’8 Marzo, contrapposto strumentalmente a quello Cobas-Unicobas contro le deleghe della L.107/15).
Per quanto attiene invece al nuovo sciopero del 23 Marzo, è chiaro che si tratta di tutt’altra cosa. L’Anief l’ha proclamato per tutti gli ordini e gradi di scuola, ma in solitudine, sfilandosi dallo sciopero precedente, nonostante questo fosse proclamato in primis contro il miserabile contratto siglato dai Confederali. E lo ha fatto perché ‘risaltasse’ la questione di quelle diplomate magistrali che hanno conseguito il titolo entro l’anno scolastico 2002, per le quali ha avviato per prima una campagna di ricorsi inizialmente accolti dal Tar per l’ammissione nelle Gae, così che circa 6.000 di loro vennero poi assunte, per poi veder ribaltato il giudizio dal Consiglio di Stato, la qual cosa mette in discussione, oltre quei posti di lavoro, anche l’esercizio delle supplenze nella Primaria per migliaia di maestre. I Cobas, contagiati dalla verve ‘autarchica’, senza consultarci, hanno deciso qualche giorno fa di proclamare lo sciopero solo per la Primaria. Noi riteniamo che lo sciopero debba essere sostenuto, intervenendo direttamente come rappresentanza, invitando le dirette interessate ad aderirvi ed appoggiandone la giusta protesta. Ma è evidente che si tratta di un’iniziativa molto specifica che, peraltro, richiama la necessità di un provvedimento legislativo del nuovo Parlamento. Per questo l’Anief ha scelto la data del primo insediamento di Camera e Senato ma, stante la situazione politica, forse non sapremo neppure ancora i nomi dei presidenti dei due emicicli.
Le questioni al centro dello sciopero del 23 Febbraio, viceversa, erano (e restano) aperte e di carattere complessivo: l’abrogazione della L. 107/15; il rifiuto di un contratto che s’accontenta di circa 250 euro netti pro-capite a ‘recupero’ una tantum dopo che ce ne hanno fatti perdere 18.000 in dodici anni di blocco; la revisione del reclutamento e soprattutto una riforma della Scuola e dello stato giuridico e contrattuale di docenti ed ata che inverta la rotta degli ultimi 30 anni. Questi sono i punti fondamentali che bisogna riportare all’attenzione del Paese, ma non appena il panorama sia chiaro, che si formi un governo o che si torni a votare! Perché è evidente che ogni ‘sottosistema’ deriva dal macrosistema degli interventi legislativi complessivi di tutti coloro che hanno governato sino ad oggi e di un pensiero unico che ha sistematicamente distrutto la governance della Scuola Pubblica (e non l’inverso).
Al momento, anziché il ritorno alla corsa ad intestarsi gli scioperi in forma scomposta, occorrerebbe invece una politica unitaria del sindacalismo di base ed alternativo, perché la prima posta in gioco è la nuova rappresentanza sindacale che uscirà dalle elezioni RSU (per le quali termina Martedì 13 Marzo la presentazione delle liste). A questa unità abbiamo lavorato per anni, ed oggi è necessaria una campagna comune per l’astensione dove non sono presenti liste di base, con una discriminante fondamentale in primis verso i firmatari del nuovo contratto. Una campagna comune per ribaltare il tavolo delle norme antidemocratiche che regolano la materia. L’Unicobas ha presentato più liste che in passato. Però crescita del sindacalismo di base è per tutti frenata a monte.
Raggiungere tutte le scuole diventa proibitivo per chi come l’Unicobas Scuola, non ha neanche un’ora di permesso sindacale a fronte dei 2 mila distaccati di Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda pagati in vari modi dallo stato, che godono di quel fondamentale diritto di tenere ovunque assemblee in orario di servizio che invece a noi viene negato. Dove nonostante tutto riusciamo a trovare candidati al ruolo di «sindacalista di scuola» (e moltissimi non si sentono in grado di svolgerlo), non possiamo neppure presentare pubblicamente il nostro programma elettorale, mentre loro vanno in tutte le scuole. Ma che campagna elettorale è?
Si tratta di una vergogna assoluta per uno stato di diritto: un mascheramento «democratico» di un mix fra fascismo e stalinismo, voluto dai sindacati firmatari di contratti recessivi che altrimenti non conserverebbero il monopolio della rappresentanza (e dei diritti e dei favori) sulla pelle della categoria.
Come se non bastasse, i sindacati di stato e di partito, in pieno conflitto d’interessi, hanno scritto nel contratto che i nostri eletti non possono neppure rivolgersi a chi li ha votati indicendo in proprio assemblee in orario di servizio, tanto che siamo stati costretti a tutelare il loro e nostro diritto ottenendo 24 sentenze positive in tutta Italia. Un diritto sancito dallo Statuto dei lavoratori e persino dallo stesso accordo nazionale quadro sulla costituzione delle Rsu scritto dai Confederali, che letteralmente afferma per gli eletti la facoltà di indire assemblee «congiuntamente o disgiuntamente».
Inoltre, i firmatari di contratto restano «rappresentativi» per legge pure a voti zero! Questo perché si sono inventati anche l’infingimento della media del 5% fra percentuale di voti presi e percentuale sul totale dei sindacalizzati. Controllando così una minoranza della categoria (quel terzo che è iscritto ai vari sindacati, che Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda rappresentano ognuno almeno nella misura del 10%), per loro il voto è una mera formalità. Va da sé che noi dobbiamo invece giocare una partita truccata, cercando di ottenere almeno l’8% sul 70% di lavoratori che si recano alle urne, ma senza poterci parlare. Infine, anche se raggiungiamo il quorum in un’intera regione o provincia, questo non conta nulla perché non ci convocano neppure alle trattative decentrate. Si tratta di una legge dove prendi tutto o niente: sarebbe come se i partiti che non siedono in Parlamento non potessero andare neanche nei consigli regionali, provinciali, comunali o di municipio, senza poter fare mai campagna elettorale!
Come ovviare a una vergogna del genere? Con una campagna per una nuova legge sulla rappresentanza sindacale e per l’abrogazione di quella vigente: una proposta di lavoro comune che lanciamo alle organizzazioni alternative e di base. Intanto invitiamo i colleghi a contestare l’antidemocraticità della casta dei padroni delle deleghe in ogni loro assemblea sindacale, imponendo che si confrontino apertamente con le organizzazioni sindacali di base e astenendosi dal recarsi a votare dove non ci sono liste alternative: nelle scuole dove non si presenta al voto almeno il 50% più uno degli aventi diritto le elezioni sono nulle, e quando vengono rifatte non valgono più per il calcolo della rappresentanza sindacale. In questo modo la loro media verrebbe di molto abbassata. Al tempo stesso (ma senza le confusioni che veicolano alcuni demagoghi del web in cerca di uno spazio da faccendieri per ricorsini et similia) va revocata l’iscrizione a tutti i sindacati monopolisti, togliendo loro il vantaggio accumulato nei decenni di monopolio.
Occorre una battaglia comune per l’abrogazione di questa ignominia anticostituzionale e per imporre il ‘minimo sindacale’ della democrazia: una lista nazionale, perché col voto nazionale, a latere delle Rsu sul posto di servizio, i lavoratori di ogni settore possano scegliere le sigle nelle quali si riconoscono davvero, togliendo a chi non li (e ci) rappresenta la facoltà di firmare i contratti-truffa commissionati dalle centrali nazionali ed internazionali del neo-liberismo. Contratti sottoscritti da sindacati di partito in nome e per conto dei gruppi politici di riferimento nonostante questi abbiano sempre meno spazio persino in Parlamento. Ma non ci si chiede come mai proprio il 9 Marzo, prima che si formi (o meno) un governo, proprio Cgil, Cisl, Uil e la centrale padronale per eccellenza abbiano riproposto l’accordo del 31.5.2013, sancito di nuovo il 10 Gennaio 2014 (unico caso nazionale sfuggito a questa regola è quello dei portuali di Livorno e Piombino grazie a una sentenza, che l’ha disapplicato, ottenuta dall’Unicobas che poi ha ottenuto 3 RSU su 3), che impone per poter presentare liste Rsu nel settore privato la famigerata “esigibilità contrattuale”, ovvero la sottoscrizione di contratti ed accordi-truffa e persino la rinuncia a scioperare?